La Fabariota

 20,00

Ne La Fabariota, Alessia, la protagonista, è un’avvenente archeologa trentenne di origine siciliana che vive a Roma, in piena crisi esistenziale. Vittima di un senso di fallimento generale fino alla depressione, la donna oscilla tra il timore di diventare pazza e aspirazioni suicide.

La vicenda è narrata da un misterioso “Osservatore celeste” dotato di sense of humor, incaricato dalle Alte Sfere di “salvare” la disperata creatura, stimolando empaticamente la consapevolezza in quest’anima inquieta.

Questo apprendistato porterà la sua assistita in Sicilia, alla scoperta delle vestigia della civiltà dei Sicani, e contemporaneamente alla valorizzazione di se stessa grazie al ritrovamento di una misteriosa grotta, di altrettanto misteriose scritture e di una singolare figura di donna “scrittora” di Favara nell’agrigentino: la Fabariota, la terza protagonista del romanzo, che sarà determinante per la vita di Alessia.

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Ne La Fabariota, Alessia, la protagonista, è un’avvenente archeologa trentenne di origine siciliana che vive a Roma, in piena crisi esistenziale. Vittima di un senso di fallimento generale fino alla depressione, la donna oscilla tra il timore di diventare pazza e aspirazioni suicide.

La vicenda è narrata da un misterioso “Osservatore celeste” dotato di sense of humor, incaricato dalle Alte Sfere di “salvare” la disperata creatura, stimolando empaticamente la consapevolezza in quest’anima inquieta.

Questo apprendistato porterà la sua assistita in Sicilia, alla scoperta delle vestigia della civiltà dei Sicani, e contemporaneamente alla valorizzazione di se stessa grazie al ritrovamento di una misteriosa grotta, di altrettanto misteriose scritture e di una singolare figura di donna “scrittora” di Favara nell’agrigentino: la Fabariota, la terza protagonista del romanzo, che sarà determinante per la vita di Alessia.

Lo stile del romanzo è articolato in un intreccio di varie forme. La Fabariota vuole essere altresì un sentito omaggio alla potenza della Scrittura, protagonista virtuale della vicenda attraverso il ritrovamento dei frammenti, che diventano il cardine illuminante su cui ruota la storia personale di questa donna che negli anni ‘60 affronta un processo di rivoluzione della sua condizione.

Copertina

Morbida

Pagine

304

Dimensione

15×23 cm

Rilegatura

Brossura filo refe

Anno

2025

  1. Rinaldo Caddeo

    La Fabariota di Anna Di Mauro: pluristilismo e immaginario barocco
    @Rinaldo Caddeo

    Ci sono due stili che si contendono questo romanzo ambientato nei mitici anni ’60 di Marilyn Monroe: uno stile nominale, stringato, nervoso, irrequieto. Lo stile del desiderio, senza fronzoli, senza mediazioni, diretto. Drammatico, incisivo. Alla Arthur Miller. Un esempio: «Si ferma esausta. Piena e svuotata, rigagnoli di sudore sulla fronte, sul collo, sul petto ansante. Depone la macchina. È finito il rullino. Rabbia. A quest’ora è tutto chiuso. Si arrende. Ha trovato comunque il bandolo della matassa. Mentre scribacchia velocemente quello che ha “visto” suona il campanello. La porta. Apre meccanicamente. Lui. Avvinghiati. Il desiderio si fa strada. Bagna il corpo. Uccide la mente. Dalle finestre il suono delle campane. Dieci rintocchi nel blu. Sera a strapiombo sul nulla.» (P. 100-101).

    Rotondo, abbandonico, ridondante, c’è uno stile retorico, stucchevole e infiocchettato. (P.54). È l’Angelo, l’Osservatore n.13312244880, a dirlo. Osservatore spesso critico, a volte sarcastico, della sua assistita, nel suo D.C., Diario Celeste. È una scelta, quindi, consapevole dell’autrice. A che cosa serve? Carica la schermaglia dei sentimenti, dei colori, degli odori, della nostalgia o della speranza: «Vola tra le sue braccia e per un attimo il suo odore buono, un misto di pane e lavanda, la sommerge e la trasporta indietro. La sua infanzia è lì, pulsante viva. Può toccarla. Una lacrima invisibile si ferma, sul ciglio a velarle lo sguardo.» (P.54). Equipaggia una retorica dell’emotività: «Eleganza di seta e angora rosa cipria, chignon discreto, perle alle orecchie, al polso, all’anulare. Sembra uscita da un disegno di Ertè. Un sorriso velato le tiene insieme per un attimo. Una speranza? Azzurra spera ancora. Ha sempre sperato.» (P.84). Sospinge la mimesi paradigmatica, barocco/dadaista, spiraliforme, dei quadri del nonno: «Volute circolari si inseguono nel fondo cilestrino tra infinite sfumature dorate. Il giallo oro si mescola all’arancio e all’amaranto, in un susseguirsi fantasmagorico di vortici, anfratti reconditi, cieli variegati da nubi ambrate, fori e squarci apparenti in un astrale inseguirsi di albe, trionfi di accesi soli, assolati meriggi, intensi tramonti, crepuscoli nostalgici fino al remoto baluginare di stelle e lune di una notte africana.» (P.93-94).

    La struttura linguistica del romanzo è complessa, articolata, risponde a molteplici istanze. La prima persona della scrittura diaristica si alterna alla terza persona di una narrazione onnisciente, focalizzata prevalentemente sulla protagonista, sulla sua sveviana indecisione, talmente esasperata da sfociare in una sorta di indecidibilità. Che cosa è bene e che cosa è male? Che cosa è vero e che cosa è falso? È tutto vero e falso in quanto è male e bene? Siamo in un mondo ammaliante, insondabile, indomabile, arcaico e moderno, aggrovigliato e vacuo, torbido e cristallino. A partire da quella sorta di mito che dà il titolo al romanzo: la fabariota.

    Chi è? La risposta la troviamo a metà circa: si tratta di una specie di sibilla cumana in salsa siciliana. È una fimmina scrittora come, in un siciliano alla Camilleri, un vegliardo canuto e rugoso spiega. Una donna scriba che scrive, attingendo a un calamaio d’oro, una penna di pavone, con le tre dita che scrivono fasciate d’oro, solo per un pubblico femminile, le sue sentenze sulle foglie.
    Nel suo antro la Nostra Eroina scoverà rocambolescamente e a rischio della sua incolumità, rotoli di papiri e manoscritti di pergamena, in frantumi e guastati dal tempo, ma non abbastanza da impedire la loro decifrazione e rappresentazione teatrale. La recita al Teatro Valle di Roma, è una scena fosca e luccicante, carnevalesca e drammatica, che dà inizio e fine al romanzo, suggerendo una struttura circolare che racchiude.

    Interessante, pirandelliana (il grande me/il piccolo me), la divisione dell’anima della protagonista tra due impulsi, due voci: la Sognatrice e la Razionale. Nella prima parte sembra prevalere la prima voce con effetti deleteri per la sorte della Nostra. Poi, però, le due voci smettono di litigare tra loro. Si fondono in una sola energia. Alessia Alibrando ce la fa e guadagna con merito le sue mete professionali e affettive. Dimostra, da archeologa di vaglia qual è, la sua tesi scientifica: la civiltà sicana esiste. È una cultura arcaica siciliana, pre-romana, pre-greca, collegata alla cultura minoico-cretese. Non senza modulazioni pop, dinamismi dirompenti, a volte crucciosi, a volte esilaranti, farseschi, da cartone animato, la sovrabbondanza di mezzi linguistici, di riferimenti al teatro, al cinema, alla letteratura è definitivamente compiuta e messa a disposizione di una narrativa fluida, fresca, fragorosa, grottesca, comunque trainante, coinvolgente.

    da https://www.scriptandbooks.it/2025/06/29/la-fabariota-di-anna-di-mauro-pluristilismo-e-immaginario-barocco/

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